sabato 9 febbraio 2008

POESIE






Giovanni Allotta (Stuparich) I elementare 1953-54
Villa Opicina (TS)

Scrissi la mia poesia circa nel 1954, a Opicina, Poggioreale del Carso 911, avevo circa sette anni. M'ispirai ad un pesciolino entro un vaso. Un regalo fattomi da mia mamma. Questa è quell'antica, ormai, prima poesia:

"Il pesciolin stà
nel bicchierin;
e cosa fa nel bicchierin?
stà buonin."



Giovanni Allotta

"AMORE D'INFANZIA "
pubblicate da COMETE, Ragusa 1996; pp. 77.

Questa raccolta comprende, suddivise in tematiche, una quarantina di poesie che vanno dal 1962 al 1979.
Precedono il mio ingresso all'esperienza diretta della psicoanalisi attraverso personali sedute, dal 1980-1986; sei anni di analisi svolta con il Dr. Paolo Fonda (psicoanalista SPI) Trieste.

Il libricino è dedicato a "Rita"
Una bambina delle elementari della scuola F. D'Ardi, la stessa che anch'io frequentavo.
E' stata lei la mia prima assoluta ispiratrice; ispiratrice in quanto particolarmente idealizzata poichè concretamente non ho mai avuto l'occasione di parlarle. Allora soggiornavo nel collegietto delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore, di Via P. Valussi, 5. Trieste.



1) Ti guardavo che quasi scomparivi
su per quella strada in salita:
quasi eterna...
Eri là, davanti a me, sola!
Le foglie d'autunno cadevano; addio!
Addio tu che sali per non discender
più.
Addio, tu che non ritorni.
E' stato solo un minuto: unico,
proprio quello che il cuore rimpiange per sempre.

2) Era solo che una bambina
ma l'amore non si risparmiò:
sola, poverina
in quel giorno che più tornò.
Dolce morir di pace
nella tristezza dell'ultimo lamento:
l'amor che non ritorna tace.
Sperar convien di certo
anche se i canti sono di questo
cuore straziato,
lì dove l'animo vaga incerto.

3) USIGNOLO DEL MARE

Mi passa questa solita malinconia
e mi viene quella del poeta che piange.
Solo sei, essere che sopravisse
alle bufere del mare, solo,
come lo sono io.
Ma tu hai girato questo mondo
che io non conosco:
ho vissuto solo in questa ferma poesia.
Usignolo del mare
porta un mio saluto al di là
dell'azzurra sponda
a chi trovi più solitario di me.
Quando oltre l'oceano
la vita tramuta
se troverai, in una casa povera
che fa ombra sul mare,
un fanciullo
timido ed esile, salutamelo.
Egli è l'amico sconosciuto,
l'amico dei miei sogni.
(1961, marzo. Colleggio dei salesiani, S. Luigi, Gorizia.)

PALERMO 1963-1964
4) Una pozzanghera che m'ispira
Cuore, anima:
ascoltatemi, applauditemi,
dove m'ispiro se non in una pozzanghera?
Dove mi consolo
e dove credo di vedere tutte le meraviglie della terra
se non in una grande pozzanghera?
Anima, cuore...
sentimento: applauditemi,
o rimproveratemi se questo merito.
Infondo non è romanticismo,
una poesia antica riportata
con altre parole
al mondo crudele di oggi?
Stolti, pazzi
ma chi credete d'applaudire
o d'ascoltare?
Un genio?
Un fanciullo prodigio?
Colui che vede o sogna il paradiso?
Oppure avete veduto
chi unicamente
s'ispira in una pozzanghera
dove la stessa luna,
le stesse nubi
o lo stesso uomo primitivo si specchiava?
M'applaudite?
Grazie!
Ma non perdete del tempo
e non meravigliatevi:
tutti, prima o poi s'ispireranno,
mediteranno
in una pozzanghera naturale,
mai asciugata dal sole
e dimenticata pur dalla pioggia
se non in una pozzanghera
costruita da noi stessi.
Avevo 16 anni.Va precisato che effettivamente m'ispiravo ad una pozzanghera. Stavo a Palermo, quando mi recavo nella zona di Borgo Nuovo (un distretto di Palermo); guardavo spesso dal finestrino della mia piccola cameretta. Ero stato attirato dalla vista di una pozzanghera tra il terreno di campagna circostante, brullo e incolto. E' così che nacque questa poesia che recitai, appena composta, nella sala da pranzo dov'era mio padre, Mariella, la picolissima Elvira e dei parenti. Credo s'era sotto le ferste natalizie.
Forse è necessario rendersi conto come detta pozzanghera, oltre ad essere un simbolo ancestrale, segna, per come descritta un'immobilità interiore dove il tempo sembra essersi fermato, quasi a non voler passare più. Una pozzanghera che pur vera è lostesso distante dalla realtà dove non c'è sole nè pioggia che su di essa possa svolgere il suo effetto. E', oserei dire oggi, un pò l'immagine dell'inconscio che per raggiungerlo bisogna "scendere", precisamente come nel verso esprimo: "tutti prima o poi s'ispireranno o mediteranno in una pozzanghera." Avevo, tra l'altro, iniziato anche geograficamente (calandomi nel luogo degli uomini primitivi) a sprofondare nel luogo delle mie origini natali: ed era anche la stessa terra di mio padre " Il padre primigenio". Ricordo ancora vivamente quei concreti faticosi viaggi nel scendere da Trieste a Palermo.
5)ILLUSIONE
La vedete? Ride.
Sghignazza ora che siamo
belve legate ad un destino infame.
Quì, sperduti
nei nostri castelli campati in aria.
La vedete?
E' l'illusione!
Eppure quanto sorriso
è scorso pazzo
per i muscoli delle nostre membra?
Sembrava avessimo trovato
il cielo in terra...
Ora, illusi,
siamo rosei di vergogna
per l'orgoglio che ci ha trafitti
inutilmente.
Quanto siamo pazzi,
e se ve lo dico io che ho quindici anni
cosa dovreste dire di voi, o lupi,
morti di fame?
E che abbiamo ottenuto
se non una dolorosa illusione?
Se non una vergogna?
Una vergogna che ci lascia nudi
con tutti i vestiti a nostra disposizione?
Ma coraggio, forza,
che senza di essa è solo il
nostro cuore,
magro il nostro sentimento,
abbandonato il nostro egoismo.
Purtroppo siamo così fatti
con la testa che non guarda oltre: avanti...
Palermo 1963
6) LA MORTE DI NONNO CARMELO
Fu per l'aria udito un suono:
voce nell'alba d'un chiricchichì sperduto.
L'alba ora s'espandeva
nei campi freddi e invecchiati
mentre dalle colline ora giungevano dei raggi,
quei che qualcuno non avrebbero
mai più illuminato.
Fu udito in quell'alba silenziosa
l'umano gemito di zia Mariella,
pianto disperato
da sembrar il frenar stridulo d'un treno
che non farà più viaggi!
Non farà più viaggi
nei sentieri della vita, tristi,
infuocati, selvaggi.
Come si sentiva
in quell'aria triste
l'alito del vento, incompiuto...
E' la prima esperienza con la morte d'un parente siciliano. La morte del nonno Carmelo, il papà di "zia" Mariella. Mariella, solo nel 1997 diviene moglie effettiva di mio papà (li separava tanti anni di differenza d'età), allora la chiamavo "zia". La zona palermitana, di questa triste memoria è Borgo Nuovo, la stessa della poesia: Una pozzanghera che m'ispira". Nonno Carmelo era morto all'alba e stava in una palazzina vicino alla nostra, di via Pantallica. M'ero svegliato dal pianto di zia Mariella che era rincasata con mio papà. E' interessante esaminare questo pianto di zia Mariella, allora vissuto come lo "stridio d'un treno che non farà più viaggi" mentre per l'aria s'espande il chicchirichì d'un gallo. In questo ricordo di pianto si condensano più situazioni affettive. Innanzi tutto un uomo che muore e non ritorna più. Paragonato ad un treno che non farà più viaggi. E'altrettanto il segno della mia fanciullezza triestina che non ritornerà più perchè allora Palemo segnava, per me, anche l'aspetto d'una mia morte interiore. Infatti la poesia parla pure d'un "alba fredda". Si tratta d'un nuovo inizio interiore d'un mio andar avanti nella via dell'adolescenza siciliana, ignota. Il treno poi mi riporta ai viaggi "lunghi" che facevo durante le vacanze tra Palermo Trieste e Trieste Palermo. Quel dir:"Non farà più viaggi nei sentieri tristi della vita" è un desiderio e una constatazione di morte personale: segue infatti questo tipo d'espressione: "infuocati e selvaggi"; ossia il rifiuto psicologico d'affrontare quella vita infuocata e selvaggia che mi riservava le future esperienze palermitane.
7) UOMINI SICILIANI
3 ottobre 1963, Palermo
Quì le porte possono rimanere aperte
ma non aspettatevi di vedere l'interno
delle loro case.
Sotto il gaio aspetto della natura
esiste qualcosa che li tormenta.
Non giudicate questi uomini,
non torturateli con la vostra saggezza!
Lasciate che silenziosa e lenta
parli solo la loro natura;
lasciate che si confessino
e noi come saggi sacerdoti
li comprenderemo,
li assolveremo.
Le loro creature giocano
sporche per le strade?
Ma non è vero che nei loro cuori
vi sia il fango delle vie...
Questi uomini s'ammazzano
come niente fosse?
Ma non crediate che lo facciano
per "cattiveria":
proclamano giustizia.
Siamo noi, i saggi,
che li abbiamo abbandonati.
Questa è una poesia che ha trovato, diciamo, riconoscimento sia in Sicilia che in Calabria. Nello spettacolo di danza fatto da mia sorella Daniela "La sirena" è stata messa anche questa poesia, ben recitata da un lettore. Poesia che in quello spettacolo del 1996, ha girato parti della Sicilia, tra cui Arcireale e Monreale. Inoltre l'Associazione Nazionale Carabinieri di Paola l'ha voluta inserirla in un manifesto dell'Arma, siamo dopo la data del 2000.
Non è però una poesia così facile da interpretare, come sembrerebbe a prima vista.
Ha battute d'ironia e contemporaneamente di "terribile"realismo. Sono le parole d'un adolescente "continentale" di quell'epoca, con l'avvento dei primi grossi attentati della mafia come quella dell'esplosione d'una macchina dove perirono dei carabinieri, vicino a Palermo.
8) Fanciullo Palermitano (Palermo 1963)
Forse ti condanna il peso
d'aver quattro anni:
piccolo gomitolo che si snoda
dinnanzi ai cuori sensibili.
Come tutti i giusti
hai trovato anche tu il tuo poeta.
Lascia sfogare la tua dolce armonia infantile
anche se ti scacciano d'ogni porta
dove, sorridendo, passi.
Tu si, puoi dire che
t'hanno abbandonato:
tutti ti scagliano la pietra
dandoti la mortale colpa.
Tu, essere, nella tua vita
non hai trovato nulla;
non pretendere più avanti
di trovare qualcosa
quando la tua età sarà cresciuta.
Certo, non hai colpa,
ma è la sciocca tradizione
la rovina del libero guardare...
9) ANTONIETTA (1964, Palermo)
Figlia dalle palpebre mortali
ma dagli occhi sempre aperti,
sei rimasta li, seduta,
in quell'angolo tra due dipinte mura
che di mese in mese erano il volto
d'una stagione;
li si coloriva il tuo viso
dalle ore tragicamente perdute.
Ti si riconosceva appena
nel tragico mormorio
consumato dall'affanno
e dall'insignificante mortificazione.
Ma non eri una cosa lasciata
in un solaio d'irrequiete grida
follemente furiose.
eri, invece, una così buona fanciulla
fra gente malamente perduta.
Eri davvero una martire,
una santa
dove il terrore imperava
e la paura
cuoceva i nostri affanni.
"Antonietta" è da me una poesia particolarmente amata e la lascio quasi senza interpretazioni. Si tratta di una bambina sofferente per un forte trauma sofferto nella sua primissima infanzia. Non parlava, era solitaria, pallida. Per motivi di praivacy non dico di più. Tuttavia la seguivo quasi quotidianamente con profondo affetto. Un bel giorno le feci una carezza e la misi sulle mie ginocchia: la bambina dopo anni di silenzio parlò definitivamente e riprese anche a sorridere.
"In un angolo tra due dipinte mura" sta a indicare, che ferma, seduta su una seggiola, lei stava immobile. La luce, il sole rinvigoriva dichiarore le parteti e quindi anche quel suo viso. Poichè in ogni stagione il sole ha un intensità diversa portava radiosità forti, nitide, oppure tristi su quel volto di fanciulla e su quelle pareti che s'incontravano d'angolo.
NOTE D'AMORE E DI TORMENTO (1965-Palermo)
9)
Il silenzio, il camminare,
la quiete d'una strada.
Era una notte e mi sentivo libero,
libero di poter vivere o morire.
Le automobili correvano,
faceva freddo, ma io mi sentivo libero,
felice di poter correre,
di camminare in quella solitudine.
Ma chiamavo un nome...
il silenzio applaudiva un'ombra:
era l'amore.
Era l'amore nel silenzioso camminare,
era l'amore nella quiete d'una strada.
Eppure io rimanevo solo,
solo nell'invocare, solo
nell'attendere.

Nessun commento: